Penny

La storia di Penny è iniziata nel mio cuore il giorno che mia sorella, volontaria all’E.N.P.A. mi ha raccontato di avere un coniglietto nano, una femmina, da poco operata alla palpebra per un tumore. Purtroppo il veterinario aveva dovuto asportarle anche l’occhio, dato che senza palpebra non avrebbe più avuto la possibilità di chiuderlo.

La sua storia è iniziata nel mio cuore, quando mi ha raccontato che è stata abbandonata dal suo padrone presso il veterinario che l’ha operata, probabilmente pensava che non potesse più vincere il premio per il coniglio più bello d’Italia.

La sua storia è iniziata nel mio cuore quando mi ha raccontato che  in tanti, una volta arrivata presso l’E.N.P.A. si fermavano davanti alla sua gabbia per compatirla, ma nessuno era poi intenzionato a darle una casa, come se lei fosse solo la menomazione che portava sul musetto, come se non ci fosse stato altro che questo animaletto (perché era veramente piccolina) potesse dare ancora agli altri.

La sua storia è iniziata nel mio cuore il giorno che Matteo l’ha  portata a casa nostra, mia sorella non sapendo come si chiamasse prima, l’ha chiamata Penny, come Miss Penny Lane, tratto dal film Quasi Famosi, dove la protagonista si fa chiamare Penny Lane in onore a sua volta della nota canzone dei Beatles. Mai nome fu più azzeccato, io avevo pensato a qualcosa di buffo e tenero tipo Pallocchetta, ma appena l’ho conosciuta ho capito che si meritava di più di uno stupido nomignolo, era una coniglietta forte, aveva affrontato un intervento che le aveva cambiato la vita, ora guardava il mondo, ma si adattava a farlo con una prospettiva diversa e soprattutto voleva vivere.

La sua storia è iniziata nel mio cuore quando ho capito che l’avrei dovuta conquistare con pazienza, perché era diffidente e non si lasciava toccare facilmente. Mi sarei dovuta guadagnare la sua fiducia, ma per questo procedevo lentamente, senza forzarla, pensavo di avere tempo.

La sua storia è iniziata nel mio cuore quando ho visto la prima volta il suo musetto: era bellissima, e non lo dico per via del suo handicap perché è giusto dirlo o per fare del buonismo gratuito, lo dico perché è vero, era una piccola palla da bowling, perfetta, soprattutto dopo i primi tempi di assestamento, quando ormai si era ripresa e aveva un bel pelo folto e lucido ed era sempre vigile ed attenta.

Le piacevano tanto le carote, non tanto la verdura a foglia verde ed adorava i croccantini, ma le davamo sempre l’erba medica compressa, che non le faceva male ed è naturale.

Le piaceva correre per casa, ma solo quando il suo compagno Kirotty non era nei paraggi, perché lui, per lei così tranquilla era veramente troppo irruento, anche se ogni tanto capitava che di mettessero sdraiati a pochi centimetri l’uno dall’altra e ci guardassero mentre noi eravamo sul divano.

Le piaceva nascondersi dietro il portagiornali in sala, soprattutto al riparo dall’esuberanza di Kirotty, si sdraiava e se ne stava lì in pace, quello era un angolino tutto suo.

Quando era in gabbia e si stancava entrava nella sua cuccia, ma non si rintanava mai fino in fondo, rimaneva con il musetto fuori per vedere quello che succedeva in torno a lei e quando correva per casa era a dir poco spericolata, a volte correva fortissimo nonostante non potesse vedere bene tant’è che a volte noi ci dovevamo fermare per non pestarla perché ci passava sfrecciando sui piedi e io avevo sempre il timore che sbattesse contro il tavolino in sala o contro il puff, ma evidentemente lei sapeva bene quello che faceva.

Quando entravo in cameretta, negli ultimi giorni, la trovavo sempre più spesso che guardava fuori dalla finestra ed avevo iniziato proprio per questo motivo a lasciare sempre  tirate le tende in modo che potesse vedere ancora meglio. Più di una volta mi sono chiesta cosa ci vedesse, cosa pensasse mentre guardava fuori, dato che a me sembrava completamente assorta nella sua contemplazione, ma forse è solo quello che io mi sono immaginata di vedere. Solo che mi sembrava, soprattutto quando nevicava, che fosse incuriosita e stupita di come potesse esserci tanta bellezza nella semplicità della neve in una giornata qualunque. A volte aspettavo ad accarezzarla perché mi sembrava di disturbare un momento tutto suo.

Sicuramente nello scambio sono io che ho tratto il beneficio maggiore, io le ho dato una casa, lei mi ha fatto capire che dare è molto più gratificante che ricevere, ho avuto il privilegio di condividere la sua vita per sei mesi e undici giorni , avrei ovviamente voluto tenerla con me fino a che non fosse diventata vecchietta, avrei voluto ovviamente che ora fosse qui a casa sua, dove c’era chi le voleva bene. Ormai la sera era diventata un’abitudine entrare in casa e dire: “dov’è? Dov’è quella Pennina? Dov’è? E lei a modo suo mi rispondeva perché riconoscendo il suono della mia voce iniziava a correre in tondo per la gabbia, penso fosse stato il suo modo di salutarmi.

Avrei voluto avere il tempo di riuscire a farle capire che ormai la nostra era casa sua e non era una cosa a termine ma la sarebbe stata per sempre.

Avrei voluto avere il tempo di portarla a Borgotaro, come con Kirotty, per farla correre nell’erba e scavare buche fino a diventare un tutt’uno con la terra.

Avrei voluto fare tante cose che non abbiamo fatto, avrei voluto avere più fotografie, ma per tutto pensavo di avere più tempo, anni.  Il tempo e soprattutto il destino sono stati crudeli.

Mi ero già immaginata che se mai avessi avuto un figlio, gli avrei insegnato a trattarla con delicatezza e gli avrei spiegato il perché lei era così speciale. Ma non è successo niente di quello che ho immaginato e che avrei voluto fare.

Gli ultimi giorni insieme sono stati i più belli in assoluto perché ho intravisto la Penny che avrebbe potuto essere e che forse era stata prima dell’intervento, era dolcissima, voleva solo tante coccole e io gliele ho fatte più che volentieri. Carezzare le sue piccole orecchie, che nelle mie mani sembravano ancora più piccole e lasciare scorrere le dita lungo la schiena.

Quando è morta io non c’ero, non avrei potuto probabilmente fare niente, ma non c’ero. Sono entrata in casa e come facevo tutte le sere sono andata direttamente in cameretta a chiamarla, ma la mia Pennina non l’ho trovata fuori ad aspettarmi, pensavo fosse rintanata nella sua cuccia, ma al posto del suo musetto ho visto le zampine ed ho capito.

L’appuntamento dal veterinario era il mattino dopo, bastava un giorno in più che non ha avuto, continuo a ripetermelo, bastava solo un giorno in più e forse, non lo so, appunto, non lo saprò mai.

Penny ha lasciato ovviamente un vuoto enorme nel mio cuore, come la mia Kira prima di lei, che niente potrà mai colmare perché quando vuoi bene ad un animale è per sempre, possono passare gli anni, ma la mia gatta capita ancora che mi venga a trovare nei miei sogni e sono così felice di vederla ed ormai sono già passati 3 anni dalla sua scomparsa.

Anche Penny l’ho sognata la notte che è morta, ma il sogno non lo ricordo, so solo che c’era lei e io mi sono svegliata piangendo.

Penny ha lasciato il vuoto nella nostra casa, ha lasciato un vuoto nel suo angolino preferito dove si andava a  nascondere quando non voleva essere rimessa in gabbia.

Di lei mi rimangono il ricordo bellissimo dei mesi passati insieme, il suo odore che è rimasto in casa e che mi accorgo che Kirotty avverte ancora perché ieri sera penso la stesse cercando.

Lei mi ha insegnato a dare e che la bellezza è nella semplicità della vita di tutti i giorni ed è per questo e soprattutto per lei, perché il suo ricordo rimanga vivo, che ho deciso di adottare un altro coniglietto senza casa, come lo era lei. Io penso che lei sarebbe contenta di sapere che mi ha ispirato così tanto e che grazie a lei ora un coniglietto ha una famiglia che gli vuole bene.

Grazie Penny per il tempo che mi hai concesso di dividere con te.